Analizziamo l’interrogatorio del capomafia con il criminologo Vincenzo Musacchio cercando di spiegare il significato del linguaggio mafioso utilizzato
È stato reso pubblico il testo dell'interrogatorio del boss Matteo Messina Denaro effettuato dopo l'arresto dal procuratore della Repubblica di Palermo, Maurizio de Lucia, e dall'aggiunto, Paolo Guido. La prima cosa che afferma senza esitazione alcuna è che non si pentirà mai. Che vuol significare questa prima affermazione?
È una puntualizzazione molto importante che ha una duplice valenza: esterna e interna alla mafia. Lancia un messaggio di forza ai mafiosi come lui e di rassicurazione ai suoi complici esterni alla mafia. È come se dicesse state tutti tranquilli che non parlerò.
Nega l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo ma riconosce di averne ordinato il sequestro, perché questa differenziazione?
Perché intende incarnare la figura dell’uomo d’onore che non uccide i bambini. Dopo un calvario di oltre due anni, l'11 gennaio 1996 il piccolo fu strangolato e sciolto nell'acido. Vuol far passare la sua figura criminale come quella di un capo rispettoso dei codici d'onore e degli uomini d'onore in base ai quali “la mafia non tocca donne e bambini”. Noi sappiamo che questo è un falso mito perché non è mai esistita una mafia che osservasse queste regole.
Sulla sua latitanza Messina Denaro ripete che è stato catturato solo perché malato, che vuol significare quest’affermazione?
Ancora una volta è una dimostrazione di potere e di arroganza. Ci dice anche, in maniera non troppo indiretta, che ha avuto coperture importanti e ci racconta la favoletta che a Campobello si era creato un'altra identità giocando a poker, mangiando al ristorante, andando a divertirsi. La realtà è che una latitanza così lunga ha dovuto avere per forza coperture importanti anche ad altissimi livelli istituzionali. Con queste dichiarazioni in realtà Messina Denaro non fa altro che sminuire il lavoro di tutti quelli che sono impegnati sul fronte della lotta alla mafia.
Quando gli domandano della mafia, risponde che l’ha conosciuta sui giornali, secondo lei perché?
Ricorda in tutto e per tutto le risposte del suo padrino Totò Riina. Quando gli fu chiesto se conoscesse la mafia, rispose che la conosceva per averne letto sui giornali, negando di conoscere tutti i suoi sodali, Provenzano compreso che, invece, Messina Denaro dice di conoscere per via epistolare. Si rasenta la farsa quando nega persino aver commesso stragi e omicidi e di aver trafficato in droga.
Gli viene chiesto anche di Andrea Bonafede e di altri covi nascosti e risponde a mo’ di sfida: «Qualora li avessi, non lo direi mai». Perché?
È un altro messaggio subliminale rivolto a chi si preoccupa per le eventuali rivelazioni che il boss potrebbe fare. Quando parla di Andrea Bonafede, addirittura affronta anche il problema del concorso esterno in associazione mafiosa definendolo un reato farlocco.
In conclusione, cosa è emerso secondo lei da questo primo interrogatorio?
Sicuramente un atteggiamento di sfida allo Stato e la sua figura di capomafia quasi volto al bene. Quando dice “mi sento un uomo d'onore, ma non un mafioso” è in cerca di mitizzazione. Vorrei ribadire ancora una volta, qualora ve ne fosse la necessità, che Messina Denaro è solo un criminale, non un mito. È boss mafioso noto soprattutto per l’efferatezza dei suoi delitti. Resta tra i più spietati criminali della storia della mafia siciliana. Questo è!