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Il boss di Cosa Nostra Giuseppe Guttadauro, negli anni Ottanta ex aiuto primario dell’ospedale Civico di Palermo, e accusato di appartenere "con funzioni strategiche", a Cosa nostra e in particolare alla famiglia di Roccella, ha continuato a tessere la sua rete di relazioni mentre era agli arresti domiciliari, dove era finito a febbraio.
I Carabinieri della sezione anticrimine di Palermo hanno continuato a tenerlo sotto controllo nella sua casa di Aspra e, nei giorni scorsi, il procuratore aggiunto Paolo Guido e i sostituti Francesca Mazzocco e Bruno Brucoli hanno chiesto e ottenuto dall’ufficio Gip l'aggravamento della misura in carcere per il 74enne padrino palermitano che nel 2003 era stato protagonista dell’inchiesta sull’allora presidente della Regione Salvatore Cuffaro, accusato di aver soffiato al boss le intercettazioni a casa sua. L'aggravamento della misura cautelare è stata eseguita all'alba dai Carabinieri del Ros.
Gli inquirenti hanno scoperto che Giuseppe Guttadauro usava l’applicazione Telegram per comunicare con i suoi contatti, pensando di non essere intercettato.
Non sarebbe la prima volta che accade un episodio del genere. Già nell'estate del 2018 il capomafia di Brancaccio aveva ricevuto il permesso di lasciare Roma per partecipare alle nozze del figlio Filippo Marco. La festa aveva avuto luogo nella Chiesa di Maria Santissima Immacolata, nel cuore di Bagheria, e nel Castello di Trabia. In quel giorno, tra gli invitati, non c'erano solo amici e parenti: i carabinieri hanno scoperto la presenza anche di due attivissimi complici di Guttadauro con cui si era poi parlato di traffici di droga.
Tra i destinatari di quell'ordinanza, anche il figlio, Mario Carlo, accusato di aver collaborato con il padre e ritenuto in contatto con un rampollo della ’Ndrangheta, con altri esponenti mafiosi e con soggetti della buona borghesia romana.

Il giudizio del Gip
Un uomo totalmente incapace di rispettare le prescrizioni imposte da misure giudiziarie diverse dal carcere perché "permeato dal bisogno di continuare indisturbato le comunicazioni con diversi soggetti del proprio ampio circuito relazionale". Una personalità che ricerca spasmodicamente canali relazionali e comunicativi attraverso i quali alimentare il proprio "status" di appartenente a Cosa nostra. È questo il giudizio con cui il gip di Palermo ha fatto tornare in carcere Giuseppe Guttadauro.
Intercettato dai carabinieri, su disposizione della Procura di Palermo coordinata dall'aggiunto Paolo Guido, Guttadauro avrebbe mantenuto rapporti "di assidua e costante frequentazione con la nuora Maria Concetta Cipriano, moglie del figlio detenuto e coindagato Carlo Guttadauro" che andava a trovarlo a casa. I magistrati, nella richiesta di arresto, hanno anche denunciato "la spasmodica ricerca di altri canali di comunicazione riservati attraverso i quali dialogare con terzi". Il boss aveva infatti chiesto ai parenti di procurargli un vecchio telefonino, non intercettabile con lo spyware e discuteva, tranquillamente, con la moglie, di uno scambio di messaggi avuto con "Adriano", altro soggetto venuto fuori nel corso dell'indagine. Sempre dalle intercettazioni è emerso che usava Telegram per videochiamate con i figli Francesco e Filippo e con tali "Battista" e "Mariam" per la gestione dell'azienda ittica che aveva in Marocco. Una serie di violazioni che per i magistrati ne proverebbero la pericolosità, rimasta intatta nonostante condanne espiate e tempo trascorso. "Sono quattro banditelli da tre lire", diceva delle nuove leve mafiose non sapendo di essere intercettato, e parlando dei giovani boss li accusava di scarsa tenuta. Uscito di galera nel 2012, dopo tre condanne ormai definitive, si era trasferito a Roma, proprio per tentare di non destare l'attenzione degli inquirenti, ma, attraverso il figlio Carlo continuava a decidere le sorti delle "famiglie" mafiose palermitane e trafficava in droga. Poi i domiciliari per ragioni di salute e oggi le nuove manette per la violazione della misura cautelare. Nel 2001 Guttadauro era stato coinvolto nell'indagine, denominata "talpe alla Dda", che gli aveva costato una condanna per favoreggiamento alla mafia a 7 anni all'ex governatore siciliano Totò Cuffaro. L'inchiesta aveva svelato, proprio partendo dagli accertamenti sul medico, una rete di informatori che davano notizie riservate su indagini in corso tra l'altro all'imprenditore mafioso Michele Aiello e allo stesso Guttadauro. Il nome del presidente della Regione, Salvatore Cuffaro, era emerso da una intercettazione effettuata a casa del boss di Brancaccio, poco prima che questi scoprisse l'esistenza di una microspia piazzata nella propria abitazione. Era il 15 giugno 2001 e la cimice aveva registrato: "Ragiuni avia (ragione aveva, n.d.r) Totò Cuffaro".

Foto © Imagoeconomica

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