Arianna Rallo, avvocato difensore dell'ex senatore Antonio D'Alì (Forza Italia) ha chiesto l'assoluzione nell'ambito del processo d'Appello bis (presidente Antonio Napoli, giudici consiglieri Fabrizio Anfuso e Gaetano Scaduti) iniziato nel 2018, dopo l'annullamento della Cassazione del precedente giudizio di assoluzione e prescrizione per i fatti del 1994, in cui il politico di Trapani, il Sottosegretario agli Interni del Governo Berlusconi, tra il 2001 e il 2006 è imputato per concorso esterno in associazione mafiosa, nello specifico di 'aver agito consapevolmente' a favore degli interessi di Cosa Nostra, nelle dinamiche che hanno portato al boicottaggio della Calcestruzzi Ericina ed i trasferimenti del prefetto Fulvio Sodano e del poliziotto Giuseppe Linares, capo della Squadra Mobile di Trapani all'epoca all'Anticrimine e poi trasferito ad altro incarico in un'altra regione.
La richiesta di assoluzione è stata avanzata al termine di una lunga arringa difensiva davanti ai giudici della corte d'Appello di Palermo i quali hanno fissato per il prossimo 21 luglio un'udienza per le repliche della Procura generale e lettura del dispositivo di sentenza. Nelle scorse udienze, invece, il pg Rita Fulantelli, aveva chiesto la condanna di D'Alì a 7 anni e quattro mesi di reclusione. Il processo si svolge con il rito abbreviato sin dal giudizio di primo grado, iniziato nel 2011.
Nel corso della sua arringa difensiva l'avvocato ha affrontato le accuse avanzate nei confronti dell'ex senatore D'Alì, fornendo una versione alternativa a quella ricostruita dalla Procura generale di Palermo. Nello specifico, il legale ha paventato la sovrapposizione tra "la famiglia D'Alì e l'imputato Antonio D'Alì", anche in dinamiche che riguardano la gestione dei terreni di cui erano titolari a Castelvetrano nella contrada Zangara. Nel corso dei vari gradi di giudizio è stata accertata la compravendita fittizia di un terreno in quella zona, pagato in assegni da uno degli amici di Matteo Messina Denaro, che dopo il suo arresto divenne collaboratore di giustizia e ha raccontato che quel denaro D'Alì glielo restituì in contanti. "E' provato nel presente procedimento - hanno scritto i giudici di Appello nel 2016 - che Matteo Messina Denaro predispose e tradusse in atto un'operazione volta a far conseguire la titolarità del fondo sito in contrada Zangara a Francesco Geraci, nonostante reale proprietario ne fosse il Riina. Necessità di creare una provvista che potesse giustificare l'acquisto da parte dello stesso Francesco Geraci".
Foto © Imagoeconomica
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